LA GROTTA DI COCCEIO
La grotta di Cocceio è una cavità artificiale realizzata per ragioni militari. Essa è stata scavata quasi interamente nel tufo e attraversa il Monte Grillo al fine di collegare la città di Cuma con la sponda occidentale del lago d'Averno. Lunga circa un chilometro, ad andamento rettilineo e leggermente in pendenza, in modo da superare in direzione di Cuma un dislivello di circa 40 metri, non è rivestita per quasi tutta la lunghezza, ma solo per un breve tratto di circa trenta metri era dotato di un rivestimento a volta in muratura, poi collassato.
L'entrata orientale, sul lago, presenta un breve tratto con volta a tutto sesto in opus reticulatum ed era preceduta da un vestibolo ornato da colonne e statue, andato distrutto. La larghezza del traforo consentiva il passaggio di due carri e prende luce ed aria da sei pozzi di cui uno lungo circa trenta metri.
Infatti, dall’ingresso occidentale (lato Cuma), s’incontrano prima due spiragli obliqui, l'uno opposto all'altro che proiettano, a ventaglio, un lungo fascio di luce sulle pareti e sulla volta della galleria, con un suggestivo effetto di luci e di ombre, poi un terzo pozzo di luce, aperto di lato sul fianco del monte ed in seguito tre altri pozzi verticali, a taglio quadrato, svasati verso il basso, rivestiti in "opus reticulatum" e che perforano tutta l’altezza della collina.
Parallelamente alla perforazione carrabile era stato realizzato un acquedotto sotterraneo dotato di nicchie e pozzi verticali, sofisticato sistema di approvvigionamento idrico al servizio del porto della flotta imperiale (Porto Iulius). La galleria fa parte di un complesso di opere progettate e realizzate nel 39 a.C. da Lucio Cocceio Aucto, infrastrutture commissionate da Marco Vipsanio Agrippa nell'ambito della guerra sul mare contro Sesto Pompeo e organizzate in modo da collegare il lago di Lucrino destinato all'ormeggio e all'addestramento dei soldati della flotta navale con il lago d'Averno, con funzione di cantiere e il porto di Cuma, cittadella fortificata e punto di vedetta sul litorale domizio-flegreo.
Il traforo è noto anche come grotta della Pace in quanto secondo una leggenda cinquecentesca, esso fu realizzato da un cavaliere spagnolo di nome Pietro della Pace, che dilapidò i propri beni nella ricerca di un presunto tesoro lì nascosto, seguendo le indicazioni di maghi e chiromanti.
Questa via sotterranea è talmente suggestiva che risulta verosimile l'ipotesi che Virgilio, a cui era sicuramente nota, ad essa si sia ispirata nel descrivere la grotta dell'Ade nel noto passo dell'Eneide in cui la Sibilla accompagna Enea verso gli inferi. Il detto percorso sotterraneo ha avuto nel tempo sorti alterne, infatti dopo secoli di abbandono fu ripristinata dai sovrani borbonici nell'ambito di una serie di opere di bonifica della regione cumana.
Durante la seconda guerra mondiale fu utilizzata come deposito di esplosivi prodotti sul vicino isolotto di San Martino e nel 1944, l'esercito tedesco, in ritirata, fece esplodere le riserve lì conservate, che generò una gigantesca cavità alta 37 metri, nota come "camera di scoppio". Successivamente furono rimossi tutti i detriti anche con l'aiuto di sminatori in modo da restituire ai visitatori un opera di suggestiva bellezza e utile all'ampliamento di un imparagonabile percorso archeologico.
Il pericolo di crolli, però, e la presenza, ancora, di proiettili inesplosi sepolti, ne impedì la fruizione. Con molta lentezza si è proceduto negli anni ad interventi mirati di ripristino statico della volta fino al decisivo impulso ricevuto nel maggio del 2017 con il finanziamento dei Fondi Por Campania che hanno accelerato i tempi del restauro della poderosa opera di ingegneria romana.
La grotta di Cocceio ospita la colonia di una rara specie di pipistrelli e lì sono ubicati sensori e apparecchiature dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, per lo studio e il monitoraggio dei fenomeni tellurici. Oggi la grotta di Cocceio è finalmente agibile e in attesa di essere aperta al pubblico.
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